
Radio Cassino
Cassino (FR) – La ‘solitudine del difensore d’ufficio’ vista dall’Unione Italiana Forense
“Non ha un volto, spesso non ha un nome noto; è il difensore d’ufficio, quel presidio silenzioso e resistente del diritto di difesa che da quando è entrata in vigore la riforma Cartabia, è più solo che mai”. Il Segretario dell’U.I.F., Unione Italiana Forense -Sezione di Cassino, Avv. Gemma Armenante, affronta un tema di grande attualità nel panorama giudiziario nazionale.
“Una solitudine giuridica e umana, che vive con forza nel momento in cui deve decidere se appellare una sentenza di condanna. Perché oggi – sottolinea il legale – se il difensore è d’ufficio e l’imputato non lo nomina formalmente come “fiduciario”, quell’avvocato non può proporre appello.
L’articolo 581-bis del codice di procedura penale è chiaro: la nomina fiduciaria è condizione di ammissibilità dell’impugnazione.; chi ha mezzi e relazioni può facilmente nominare un fiduciario; chi non li ha, invece, resta senza possibilità di difesa nel secondo grado. E così il diritto all’appello, da garanzia fondamentale, rischia di trasformarsi in un privilegio di pochi.
Il problema non è solo teorico; secondo i dati del Ministero della Giustizia, nel 2023 oltre il 68% degli imputati in primo grado era assistito da un difensore d’ufficio; percentuali che sfiorano il 90% nei processi celebrati in assenza o per irreperibilità dell’imputato. La riforma, però, non distingue e pretende che, per poter appellare, l’imputato nomini formalmente il difensore o gli rilasci procura speciale.
Una richiesta che si scontra con la realtà: molti imputati sono detenuti, stranieri, senza fissa dimora, disorientati, e non sempre in grado di comprendere la rilevanza di un atto formale, né di firmarlo in tempo utile.
La giurisprudenza ha, finora, adottato un orientamento rigoroso; la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 23 gennaio 2023, ha dichiarato inammissibile un appello presentato da un difensore d’ufficio, in assenza di un atto formale che esprima la volontà dell’imputato di confermare il difensore; anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25456/2023, ha confermato che proporre impugnazione è una scelta consapevole che spetta solo all’imputato, anche se detenuto o irreperibile.
La ratio della norma, chiarita nei lavori preparatori, è quella di ridurre il numero di impugnazioni “automatiche” e alleggerire il carico delle Corti d’Appello.
Alcuni Tribunali – tra cui Firenze e Torino – hanno avanzato ipotesi di rimessione alla Corte Costituzionale, per valutare se l’art. 581-bis c.p.p. violi il principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e il diritto inviolabile alla difesa (art. 24 Cost.).
Nel frattempo, il difensore d’ufficio rimane solo.
Chiamato a garantire una difesa che lo Stato considera necessaria, ma che ora, per una firma mancante, non può più estendere al secondo grado generando nuove disuguaglianze tra la difesa d’ufficio e quella fiduciaria.
E nella fretta di rendere il processo più “agile”, sembra aver dimenticato proprio chi difende senza essere stato scelto, ma non per questo con minore dedizione”.
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