Radio Cassino

Arce (FR) – Appello bis Mollicone, Franco Mottola: “Siamo innocenti, noi vittime di illazioni”

mercoledì 17 dicembre 2025

Appello Bis processo Serena Mollicone, ha già creato un acceso dibattito la scelta dell’imputato Franco Mottola, ex comandante della caserma di Arce (FR) (in cui l’accusa ritiene sia stata colpita la 18enne nel 2001) di rilasciare spontanee dichiarazioni anche a nome della moglie Anna Maria Mottola e del figlio Marco. Ancora una volta, come già avvenuto in passato, la scelta di non sottoporsi ad interrogatorio in aula. Ancora una volta, attacchi alla stampa ‘rea’ di aver avuto un atteggiamento manipolatorio della realtà.

“Sono e siamo innocenti di quanto siamo accusati da moltissimi anni – è l’incipit delle dichoarazioni -. Non abbiamo nulla a che vedere con la morte di Serena Mollicone: non l’abbiamo uccisa, non l’abbiamo picchiata, non l’abbiamo immobilizzata e confezionata col nastro adesivo e col fil di ferro, non l’abbiamo trasportata in Fontecupa.
Alla famiglia ed ai parenti della povera ragazza esprimiamo la nostra solidarietà per il dolore, anche perché siamo genitori e ben capiamo le loro sofferenze.
Della sua morte non sappiamo nulla.
Siamo le vittime di intuizioni, illazioni e congetture investigative senza basi, faziose, a senso unico e contraddittorie: un insieme che è il frutto di pettegolezzi di paese, di caccia alle streghe, del gusto di attaccare l’Arma dei Carabinieri per cercare il “mistero che non c’è”, di qualche giornalista schieratasi contro di noi per fare carriera, delle fissazioni del m.llo Gaetano Evangelista che mi è succeduto al comando della Caserma di Arce, il quale ha ideato ipotesi strampalate di ogni tipo.
Nessuno di noi ha mai spinto Serena contro la porta, o le ha usato violenza, o l’ha incontrata all’interno della Caserma, né quell’uno giugno 2001, né prima”.
Poi, un lungo passaggio dedicato al brigadiere Santino Tuzi, unico testimone dell’ingresso in caserma di Serena, che poi ritrattò.
“Il brig. Santino Tuzi ha mentito quando ha dichiarato che quella mattina dell’1 giugno 2001 Serena è entrata in caserma per recarsi da mio figlio Marco e che una voce maschile proveniente dal mio alloggio gli abbia detto di fare entrare una ragazza, cioè Serena. Preciso che il citofono di casa mia era funzionante, quindi avrebbe suonato a casa mia.
Io non so perché Tuzi abbia detto una menzogna del genere, però ritengo con assoluta certezza le sue dichiarazioni contraddittorie, false, tardive e illogiche.
Mi chiedo perché non disse la sera dell’uno giugno al padre di Serena, allo zio ed al fidanzato, che erano venuti a denunciare la scomparsa della ragazza sin dalla mattina, che Serena era entrata in Caserma alle ore 11-11,30? Perché?
Perché non lo disse la sera e la notte quando lo mandai a cercare la ragazza mentre anch’io la cercavo?
Perché non lo disse nei giorni seguenti?
Perché quando Serena venne rinvenuta a Fontecupa e stavamo tutti lì, lui passando non si è fermato? C’ero anche io: era suo dovere morale e di Carabiniere fermarsi.
Perché quando Carmine Belli è stato arrestato e processato, 18 mesi di sofferenza, lui non ha parlato?
Ora ho sentito menzogne, calunnie e fandonie dette sempre dai famigliari di Tuzi: cioè, che Tuzi non ha parlato perché temeva per i figli. Ma dico, stiamo scherzando? Mi si accusa che avrei ucciso i figli di Tuzi se avesse parlato? Ed allora avrei anche dovuto fare uccidere i figli di Suprano e di Quatrale? Ma ci rendiamo conto di dove sono arrivate le menzogne contro di noi, solo per la soddisfazione di accusarci e di stare sui giornali?
Ho anche sentito che io avrei regalato o comprato la macchina alla signora Annarita Torriero, l’amante di Tuzi, per farla stare zitta: io non l’ho mai conosciuta. Meno male che la signora ha smentito.
Sono del parere che Tuzi si è suicidato per i seguenti cinque motivi:
• perché aveva capito di avere perso il senso dell’onore;
• perché aveva perso la stima in sé stesso;
• per la delusione del rifiuto della sua ex amante Annarita Torriero a tornare assieme;
• per il pentimento e per la vergogna di avere messo in mezzo mio figlio innocente;
• per i suoi segreti personali sul proprio comportamento non collegato a noi, ma alle sue azioni extrafamiliari e ad altri eventi a me sconosciuti.
Stranissimo è il suo comportamento quando, impaurito dal bluff del Capitano di Caprio che “I Ris avevano trovato tracce di Serena al piano superiore della Caserma”, ha subito accusato mio figlio con la menzogna di avere ricevuto da lui la telefonata per fare salire una ragazza: questa ragazza poteva salire anche dal cancello esterno se era attesa da mio figlio.
Nego di avere effettuato alcun depistaggio come invece mi si accusa e viene sbandierato ai quattro venti da diversi mezzi di comunicazione, così avvelenando l’opinione pubblica.
Io ho prelevato Guglielmo Mollicone per portarlo in Caserma per firmare alcuni verbali su ordine preciso del Capitano Trombetti e, anche se mi è dispiaciuto, ho dovuto farlo perché era un ordine. E solo i soggetti disinformati o i soggetti provocatori possono pensare che un Maresciallo dei Carabinieri possa discutere l’ordine di un Capitano dei Carabinieri.
Non so e non sappiamo nulla di chi, quando, come e perché abbia messo l’hashish nel cassetto di Serena, nemmeno la storia del telefonino.
La notte fra l’uno e il due giugno, verso le ore due, sono andato a casa di Guglielmo Mollicone su sua precisa richiesta fattami in Caserma, questo lo ha dichiarato anche Antonio Mollicone, invece i miei accusatori hanno detto che lo avrei fatto di mia spontanea volontà per depistare.
Contro di noi troppe montature, troppe illazioni, troppe accuse: tutte con lo scopo di risolvere il caso dimostrando la teoria del complotto dei Carabinieri della Caserma di Arce, una bella favola da raccontare all’opinione pubblica e per fare quadrare il cerchio”.
“Non parlo delle questioni tecniche perché ci penseranno i miei consulenti a dimostrare:
• che la porta della caserma di Arce non il c.d. “mezzo lesivo”,
• che MAI Serena è stata sbattuta contro quella porta,
• che i frammenti lignei sui nastri non provengono dalla porta ma sono frutto di contaminazione incrociata ed indotta,
• che il frammento di vernice fra i capelli non proviene certamente dalla caldaia fuori il balcone del pavimento sfitto.
A proposito della porta, e concludo, tengo ad affermare e confermare che l’ho rotta io con un pugno dato di piatto, col dorso della mano, dopo che mi ero arrabbiato con mio figlio Marco, il quale mi aveva detto in brutto modo che non voleva continuare le scuole. Non ricordo se per la rabbia diedi un pugno. Ero incollerito e non ricordo bene. Colpii la porta quando mio figlio era andato via.
Certamente non diedi il pugno con le nocche e di dritto, ma di piatto. Poi, quando mi calmai, per non litigare con mia moglie, presi la porta, la sollevai dai cardini e la portai al piano inferiore, per sostituirla e cambiarla con quella del bagno, dove poi venne trovata.
Un giorno parlando con Suprano gli dissi che l’aveva rotta mio figlio, non vedo perché dovevo dire a un sottoposto che il suo comandante aveva perso il controllo causa il figlio: fui vago.
Voglio anche ricordare che un giorno, e questo sta agli atti dei processi, mi arrabbiai con mio figlio e sferrai un pugno, sempre di piatto, sulla scrivania, testimone il brig. Venticinque.
Vi pare che se fossimo colpevoli non avremmo predisposto una versione unica sulla porta e che non l’avremmo aggiustata, anche sostituendo il danno e poi aggiungendo dell’adesivo plastico? A chi dovevamo dare conto di questo piccolo aggiustamento se lo avessimo fatto? Noi della porta ne abbiamo saputo solo nel marzo del 2008.
Siamo addolorati e feriti per la campagna di colpevolezza che da quasi venti anni si è scatenata contro di noi, un veleno che si è sparso nella mente e nel convincimento dell’opinione pubblica, però, di contra, abbiamo la speranza e la certezza dell’obiettività e della serenità di chi ci giudica per la terza volta.
Siamo stati assolti la prima volta dopo 15 mesi di processo, tante udienze. Purtroppo i nostri accusatori hanno insistito nelle accuse, così come accadde col povero Carmine Belli.
Siamo stati assolti in appello dopo una decina di mesi, circa 25 udienze e 50 testimoni. Purtroppo la sentenza è stata scritta male, ma non da noi:; è stata scritta una sentenza che dice “Vi assolviamo, perché non spieghiamo tutti i perché”.
Chiediamo di essere giudicati, di essere assolti e che siano spiegati e risolti tutti i perché dell’assoluzione, in modo che ci sia tolto tutto il fango che sinora ci è stato scagliato addosso da accusatori di vario tipo.
Dopo di che ci auguriamo che siano effettuate indagini serie, ben fatte e professionali per individuare il vero assassino della povera Serena Mollicone”.

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