
Cassino Notizie
Cervaro, silenzio e indifferenza che pesano più di un macigno
mercoledì 10 dicembre 2025
Sono trascorse circa due settimane dall’episodio che ha scosso la comunità scolastica di Cervaro, quando un dodicenne è entrato in classe con una pistola giocattolo puntandola verso insegnanti e compagni. Nella mattinata la madre aveva poi dato in escandescenze chiudendo un carabiniere in uno dei locali della scuola. Arrestata, per lei è stato disposto l’obbligo di firma in attesa dell’inizio del procedimento a gennaio.
Una situazione annosa che andava avanti da settimane oramai, settimane in cui insegnanti, personale scolastico, altri genitori e soprattutto compagni di classe sono stati quotidianamente vessati con atteggiamenti aggressivi e oppositivi. Sia da parte del ragazzo che della madre all’esterno del plesso. Numerose le denunce, i certificati medici di alunni e personale. Il 25 novembre una mamma , assistente sociale, è stata aggredita proprio davanti la scuola dalla mamma del dodicenne. Poi pochi giorni dopo il noto epilogo nella scuola.
I genitori dei ragazzi sono rimasti in attesa di decisioni definitive che avrebbero dovuto mettere in sicurezza i loro ragazzi ma, soprattutto, permettere una frequenza quotidiana tranquilla e spensierata, come è giusto che sia. Ma da quel fine settimana l’unica certezza che i genitori hanno avuto è che le cose non sarebbero andate come pensavano e si aspettavano. Inizialmente i ragazzi hanno avuto difficoltà a tornare in classe, poi pian piano nonostante qualche reticenza sono tornati ai banchi.
“Siamo davanti alla totale indifferenza del sistema e della società. Sanno tutti quello che abbiamo vissuto e che continuiamo a vivere, non tanto noi quanto i ragazzi. Ci ripetono che tutti hanno diritto all’istruzione, perfetto. Ma degli altri diritti? Il diritto di vivere in un ambiente sereno, tranquillo? Sicuro? Perché anche se tutti si sono riempiti la bocca di promesse e dichiarazioni, la situazione non è che sia luminosa – tuona una mamma – I ragazzi sono rientrati perché per loro significava assenze e difficoltà a rimettersi al passo con le spiegazioni. Qualcuno ha pensato al trasferimento in altre strutture, ma perché dovremmo andare via noi? Nei giorni immediatamente successivi all’episodio della pistola giocattolo ai ragazzi sono state proposte attività di educazione civica, l’autore del gesto non era presente. Sembrava quasi che la colpa fosse stata anche in parte la loro, perché forse il ragazzo si è sentito isolato, perché sarebbe stato messo da parte. Insomma, alla fine da vittime sarebbero diventati loro quelli che avrebbero dovuto rivedere il loro comportamento. Poi riunioni, confronti ai quali però non hanno preso parte i genitori del ragazzo. Una sospensione arrivata solo dopo e con obbligo di frequenza. Delle figure professionali inserite per portare avanti progetti speciali e per mediare. Però nessuno che abbia pensato, che so, a un supporto psicologico per la classe dopo tutto quello che hanno passato. Le forze dell’ordine presenti all’ingresso e all’uscita nei primi giorni, poi tutto normale per tutti. Si attende, dobbiamo aspettare e vivere nell’incognita. L’adolescente e il fratello che frequenta le elementari non sarebbero rientrati, così ci era stato detto, invece siamo di nuovo allo stesso punto. Con episodi gravissimi e noti, che però sono stati già etichettati e chiusi in un cassetto. Noi restiamo i genitori esagerati, apprensivi. Noi che vediamo a casa e nella quotidianità le difficoltà e le paure che ancora vivono i nostri figli. Ma per tutti è rientrato tutto nella norma. Si va avanti. Io mi domando se è questo quello che meritano i nostri ragazzi e anche noi come famiglie. Non voglio neanche più parlare del personale scolastico che evidentemente reputa che tutto vada per il meglio così. Un progetto di educazione civica, parlare di regole e pensare di attribuire colpe a tutti perché “magari si è comportato così perché si è sentito escluso” non sono soluzioni, sono cerotti su ferite enormi. Ma quello che ci lascia basiti come genitori è l’indifferenza del sistema e della società che pensa che sia tutto tornato nei ranghi. Ci sentiamo beffati e abbandonati. E noi possiamo anche incassare la delusione, ma i nostri figli no, non lo meritano e non è giusto”.
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