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“Scappo dall’Italia con i miei figli: il sistema scolastico non li rispetta”

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di Paola E. Polidoro – Una decisione sofferta ma ben ponderata quella che ha preso Diana, che fino a qualche giorno fa abitava con i suoi bimbi a Cassino. Arrivata diversi anni fa dall’estero, Diana ha messo su famiglia nella città martire dove aveva i nonni e dove spesso tornava per trascorrere i periodi di vacanze. E così, complice il desiderio di vivere i luoghi dell’infanzia, complice l’amore sbocciato con un ragazzo della città martire, la giovane ha deciso di restare all’ombra dell’abbazia. Ha lasciato la sua vita in Belgio e ha posto le fondamenta di una nuova vita familiare qui.

Fin da subito ha notato le differenze tra le due culture, ma ha giustamente ritenuto che potessero essere normali, considerate le origini e le abitudini delle diverse popolazioni. Quando poi ha iniziato a fare i conti con la maternità e con la gestione quotidiana dei figli è andata a sbattere contro un muro di gomma: quello delle istituzioni e della burocrazia del Belpaese.

Alle spalle in Belgio aveva già vissuto la maternità, con il suo primogenito. Lavorava nella scuola come insegnante e la nascita di suo figlio non era stata un motivo di problemi o di rinunce professionali. Il bimbo, come tutti i suoi coetanei, ha vissuto sviluppando un forte senso di autonomia. Dalle strutture scolastiche, al tempo trascorso lontano dai banchi, dall’andare in bici spostandosi per la città, alla fruizione di strutture sportive e di aggregazione.

“In questo posto diventare genitore sembra essere un problema e in particolare diventare madre diventa un limite. La donna deve sobbarcarsi la quasi totalità degli aspetti quotidiani della vita dei figli. Non esiste un prescuola, un dopo scuola, ci sono orari prestabiliti di ingresso e di uscita che non si incastrano quasi mai con quelli che sono gli aspetti lavorativi. I bambini trascorrono anche 8 ore seduti con brevissimi intervalli. Consumano pasti e merende in classe. Non svolgono attività fisiche in piscina e di rado, molto di rado, vengono portati nei giardini e nei cortili, che pure ci sono nelle scuole. Ci sono costi aggiuntivi per materiali, strumenti extra didattici. Le visite guidate e i viaggi d’istruzione non vengono pensati per stimolarli o per offrire loro percorsi realmente trasversali, ma sono semplicemente viaggi in luoghi ludici. Si dà tanta importanza a feste di compleanno, abbigliamento, si fa indossare il grembiule, ma poi i bambini fanno a gara su chi possiede lo zaino o l’astuccio più bello e costoso”.

Diana è un fiume in piena, un vortice di idee e proposte che si sono scontrate contro un modo di vivere la scuola totalmente opposto a quello al quale era abituata lei, sia come docente che come madre. Un sistema farraginoso. “I bambini non sono supportati a sviluppare un’autonomia, ma a rafforzare un concetto di dipendenza. Il registro elettronico da strumento che dovrebbe essere utile, in pratica deresponsabilizza i bimbi anche a segnarsi i compiti. E poi tutto ha un costo, materiale, corsi di sport, di attività culturali, di progetti esterni, diversi percorsi didattici. Anche forme di sostegno scolastico. Non c’è elasticità nei confronti dei genitori, sono piuttosto le famiglie che devono organizzarsi intorno agli impegni dei più piccoli”.

I figli di Diana sono piccoli, uno frequenta le elementari e l’altra è in età da asilo. Nonostante il suo impegno come genitore, il dialogo aperto con altre famiglie, docenti e dirigenti scolastici, il sistema scuola italiano non l’ha mai convinta e ha osservato quanto possa essere limitante per i figli. “Non ne faccio una colpa dei dirigenti o delle maestre. E’ proprio il sistema che non va e andrebbe rivisto, perché i primi a risentirne sono proprio i bambini. Ho fatto le dovute valutazioni e ho deciso di lasciare l’Italia, di portare i miei bimbi in Belgio dove il sistema scolastico è tagliato a misura di bambini e di famiglie. Accompagna e sostiene per tutto il periodo scolastico, dall’infanzia all’adolescenza. Inoltre la scuola ha delle tempistiche differenti di frequenza e ogni due mesi circa di lezioni ci sono due settimane di vacanze”.
“Il clima non è mai stato un deterrente per i bambini e anche quando fa freddo vengono portati all’esterno. Le attività sportive sono molteplici, la piscina non è un lusso, i costi di accesso ai corsi sono esigui. Parliamo di qualche euro, non di più. Fin da piccoli insegnano l’educazione stradale e i bambini alle elementari conseguono il patentino per la bicicletta con la quale si possono muovere agevolmente”. Un mondo diverso per un sistema che poco ha a che vedere con quello italiano.

“Tornerò in Italia? Sicuramente, per le vacanze, quando i bambini saranno liberi dalle lezioni. Qui abbiamo una parte della famiglia. Intanto parto io con i bambini che devono iniziare ad andare a scuola, poi ci raggiungerà il papà che ovviamente deve trovare una soluzione lavorativa. Amo l’Italia per tanti aspetti, ma non è quello che voglio per l’istruzione e la formazione dei miei figli. La differenza con il mio primogenito, che oggi è un ragazzo, è davvero tangibile. Io vengo dal mondo della scuola e avviso troppe troppi aspetti che non vanno. Eppure in Italia ci sono degli esempi virtuosi sparsi per il Paese, ma sono più casi unici che la norma. Confido che un giorno le cose possano migliorare, lo spero per i bambini di domani. Per oggi però ho dovuto fare una scelta e ho scelto di portare i miei figli altrove per garantirgli un servizio che ritengo più completo rispetto alle loro esigenze di apprendimento e di crescita”.

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